giovedì 23 giugno 2011

Quando la critica mossa dell'Ego blocca l'evoluzione

" Se decidessimo di volare più in alto, invece di tirare giù per i piedi chi è salito più su, nel nostro cuore regnerebbe la gioia e ci sentiremmo pervasi da una grande fiducia nel Tutto. Il dubbio è il vaglio della coscienza, lo scetticismo il nemico dell'evoluzione. Il dubbio ha sconfitto l'ignoranza, lo scetticismo ha acceso i roghi. L'accanimento con cui gli scettici sentono di dover ribadire la propria assoluta ragione, è una forma di fanatismo perverso, una chiusura alla vita e al suo fluire. Dichiarare l'assoluta libertà dell'anima di esperire e travalicare i limiti imposti dalle proprie convinzioni è un atto anarchico, liberatorio, spaventosamente appagante e pericolosamente destabilizzante. Ma non mi è possibile scegliere altrimenti, perché qualunque strada diversa da questa violerebbe il patto di fedeltà che vige imperituro fra e me e lo Spirito. Preferisco espormi alle critiche mortali, che appassiscono come foglie morte accartocciate sul selciato petroso battuto dal vento autunnale. "

Sibilla Rebis

venerdì 27 maggio 2011

Moti di rabbia che avvelenano la vita

E' davvero curioso notare come alcuni punti di vista possano generare, in chi non li condivide, moti di rabbia velenosa che recano danno allo stesso portatore. Si tratta di una rabbia generalizzata che forse nasce dal bisogno di affermare il proprio diritto di esistere attraverso la supremazia dell'ego. Destabilizzare il nemico, criticare e sconfiggere chi mette in discussione la nostra posizione: questo è il suo intento che ci allontana sempre di più dalla verità e dall'incontro con la nostra vera essenza. Ma l'aspetto più subdolo di questo meccanismo è proprio la convinzione che la rabbia sia fuori, che la causa del nostro malessere risieda all'esterno. Una convinzione terribile che ci impedisce di comprendere quanto la battaglia si svolga all'interno di noi, nel labirinto dell'anima. Forse il minatore interiore dovrebbe visitare più stesso le proprie grotte intime per non farsi ingannare dal regno dell'apparenza. Forse potrebbe, ma dovrebbe mettere per un momento a tacere quel temibile guardiano della soglia che vigila feroce. E questa, si sa, è una sfida che solo il guerriero della luce VUOLE raccogliere.



sabato 19 marzo 2011

La Verità ci rende uomini in carne ed ossa

Da bambini ci raccontavano sempre la storia di un povero burattino di legno che desidera diventare un bambino vero. Suo padre è un vecchio falegname che lo ha intagliato con amore e fiducia, illudendosi che quel pezzo di legno parlante si trasformi nel suo tanto desiderato bambino. Ma Pinocchio è un burattino scapestrato e poco affidabile che si rivela subito un bugiardo di professione, pronto ad uccidere con un colpo secco la propria molesta coscienza, rifuggendo da ogni responsabilità.
Si sente spesso in colpa, Pinocchio, scansafatiche curioso e continuamente alla ricerca di qualcuno che gli sia simile. Non conosce la strada che attende chi, come lui non è né umano né privo di umanità. Preda di individui infidi e poco raccomandabili, promette senza riuscire a mantenere fede alla propria parola. La sua completa inaffidabilità è impressa sul suo volto, mentre il naso gli cresce ad ogni nuova bugia.
Questo povero burattino ingenuo e credulone è triste come l'uomo che vorrebbe essere felice, ma non ha il coraggio di diventare migliore. Scegliendo sempre la facile strada della menzogna si gode le briciole di una gioia effimera e transitoria, che lo spinge a muoversi in continuazione attraverso emozioni contrastanti nel tentativo di raggiungere un nuovo, precario equilibrio.
Tuttavia Pinocchio, dopo aver esplorato la propria ingestibile emotività, sceglie la strada della Verità divenendo così pronto per il rinnovamento. La sua trasformazione si compie senza ostacoli, facendosi portratrice di una nuova dimensione dell'essere, all'insegna dell'autenticità. Un bell'insegnamento che, lungi dall'essere un rimbrotto di semplice carattere morale, sembra piuttosto un suggerimento per l'uomo moderno che tende le proprie braccia verso la completezza dell' assoluto.


mercoledì 2 febbraio 2011

Imbolc: il fuoco che rinnova

Nella tradizione celtica la tensione continua tra mutamento e permanenza, temporale ed eterno è espressione di quella dualità fondamentale che dà vita alla realtà manifesta. La creazione procede dal basso verso l’alto, dal buio alla luce, dal gelo della morte al calore della vita, come il chicco di grano che, sepolto nella nera terra, muore e produce molto frutto. Il tempo celtico è un’eterna e ripetuta sequenza del ciclo di morte e rinascita, dove la morte precede la vita, la notte prepara il giorno e l’inverno partorisce l’estate; la sua essenza è pertanto il cambiamento, l’alternarsi degli opposti che determina l’azione e rende possibile la vita. L’esistenza stessa si esplica nel punto di fusione tra la volontà attiva del Dio, orientata verso il tempo, e il ciclo continuo della Dea, pura forma permanente che esiste nel tempo pur essendo da esso indipendente. Il mondo nasce a primavera, raggiunge la maturità in estate, declina in autunno e muore nel freddo inverno. Ma l'inverno è anche il periodo di attesa che precede una nuova nascita. La morte dunque non è non esistenza, ma esistenza in potenza.
L'opposizione tra stato «oscuro» e stato «luminoso» ha un profondo valore ontologico e si rende di conseguenza manifesta nei cicli del tempo, come espressione dell’eterna dualità su cui si fonda la vita. Pertanto non è il tempo a scorrere, quanto le manifestazioni stesse dell'esistenza a fluire ciclicamente attraverso i due opposti stati dell'essere. Un primo stato di immobilità e latenza, intriso di soprannaturalità, è espresso dal gelo sotterraneo della morte invernale, un raccoglimento interiore, la gestazione della Dea che si prepara a partorire la luce; il secondo stato è contraddistinto dal calore, dalla luce che rinasce, e pulsa facendo sbocciare la vita. Ogni ciclo duale possiede a sua volta un significato simbolico quale microcosmo che racchiude in sé la totalità del tempo.
L’anno è quindi una ruota che gira eternamente, suddivisa nelle quattro importanti festività, considerate lunari, che cadono quaranta giorni dopo i due equinozi e i due solstizi.
In particolare, Imbolc è la celebrazione della luce crescente, la festa del fuoco della Dea la Brigit (Bride) irlandese dalla duplice natura, la Dea della morte e della vita, il principio metafisico del cosmo che, nonostante le sue molteplici forme basate sulla dicotomia, è sempre uguale a sé stesso. In questo senso si possono spiegare entrambe le simbologie, quella del fuoco vitale della Dea Brigit, che brucia in segreto dentro il calderone, come la luce che cresce tiepida nel ventre della terra, e quella dell’acqua, ineffabile principio femminile, l’anima del mondo; in tale chiave la Dea sembra incarnare il continuo flusso di energia vitale che eternamente genera la realtà, celando in sé il mistero di morte e rinascita. La Dea inizia l’uomo ai misteri attraverso una forma di apprendimento che non è conoscenza razionale, ma esperienza della vita mediante la percezione dei suoi ritmi, dell’eterno scorrere focalizzato nella visione totalizzante di ogni singolo istante.
La Dea rappresenta per traslato anche la donna, che inizia l’uomo ai misteri dell’amore, mostrandogli come trasformare il proprio istinto naturale in pura contemplazione dell’eternità, operando la fusione dei due principi; in questa fase dell’anno è lei a spingere verso il cambiamento, ad incoraggiare la risalita verso la luce, attraversando le acque della vita oltre le quali vi è il fuoco eterno che mai si consuma e sempre brucia nel luogo più sacro. Imbolc ci invita a rinascere purificati dal fuoco, pronti per accogliere la manifestazione visibile del duro lavoro invernale operato in segreto all’interno di noi, nelle viscere della terra, che ora è pronto per vedere la luce.